mercoledì 2 marzo 2016

Riflessioni sul carme 101 di Catullo


Catullo, carme 101
 
Multas per gentes et multa per aequora vectus
     advenio has miseras, frater, ad inferias,
ut te postremo donarem munere mortis
     et mutam nequiquam alloquerer cinerem.
quandoquidem fortuna mihi tete abstulit ipsum.
     heu miser indigne frater adempte mihi,
nunc tamen interea haec, prisco quae more parentum
     tradita sunt tristi munere ad inferias,
accipe fraterno multum manantia fletu,
     atque in perpetuum, frater, ave atque vale.
 
Dopo aver viaggiato per molte genti e per molti mari
sono qui, o fratello, per portarti queste misere offerte funebri,
per donarti l’ultimo dono della morte
e per parlare invano alla tua cenere muta,
dal momento che la sorte mi ha portato via da te, proprio te,
povero fratello indegnamente strappatomi.
Ora tuttavia, queste offerte, che secondo l’antica usanza degli avi
ti sono state portate come triste dono funebre,
accettale, grondanti di molto pianto fraterno,
e per sempre, fratello, ti saluto: addio!
 

Nonostante la realtà in cui vive Catullo sia quella di un amore non corrisposto, poiché è innamorato di una donna che non potrà mai ricambiare questo sentimento, l’unico carme veramente intriso di dolore che scrive è quello dedicato al fratello, ormai deceduto. Forse perché l’amore che si prova verso un membro della propria famiglia supererà sempre qualsiasi tipo di sentimento, sarà sempre più forte di ogni difficoltà, di ogni ostacolo che si presenta dinanzi a noi.
© Google immagini
 
Nel componimento vi è una contrapposizione, perché il poeta afferma di parlare invano alle ceneri del proprio caro, ma nonostante ciò percorre un lungo viaggio per raggiungere la tomba del fratello, per dedicargli un ultimo saluto. È come se Catullo non riuscisse a realizzare la perdita del fratello e cercasse a tutti i costi di creare un dialogo, un contatto con lui; oltre a soffrire per il decesso, soffre anche per il modo in cui è morto il fratello, ovvero lontano dalla patria, ed infatti utilizza l’avverbio “indegnamente”, indigne. Catullo termina il carme con le parole “ave atque vale”: “ave” è il saluto che i Romani si scambiavano quando si incontravano, “vale” quello con cui si lasciavano, momentaneamente o per sempre.
Oggi spesso risulta facile perdere il senso della famiglia, non metterla al primo posto, pensare di più agli amici e al divertimento. Il carme ha riportato in me l’importanza che si può attribuire solo ad un valore come quello familiare. Dunque ogni volta, prima di commettere errori nei confronti di una persona cara, invito me stessa e voi a riflettere sulle parole significative di Catullo.
 
D. B.

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