mercoledì 18 maggio 2016

Donne romane: matrimonio e manus

Le radici della violenza esercitata dagli uomini sulle donne hanno origini davvero antichissime. E non è necessario andare in luoghi lontani o attraversare culture diverse dalla nostra. Proprio la cultura occidentale porta in sé il retaggio e il seme della presunta superiorità maschile e della discriminazione di genere. I Romani infatti prevedevano, per norma addirittura risalente alle origini della città e alle XII Tavole, istituti di matrimonio che, comunque vengano letti, sviliscono la dignità della donna. Tra i patrizi era norma, fino ad una certa epoca, la confarreatio, con la quale il marito acquisiva la manus della moglie, tra i cui poteri erano compresi anche il diritto di uccidere la propria moglie nel caso in cui avesse commesso adulterio o avesse bevuto vino. Quest’ultimo “reato”, secondo la tesi più accreditata, aveva a che fare con la capacità del vino di far perdere i freni inibitori e soprattutto di facilitare la chiacchiera, evitata alle donne romane. La confarreatio non era esercitabile dalla plebe, e presto cadde in disuso, o meglio restò come esclusivo costume matrimoniale del Flamen Dialis (sacerdote del culto in onore di Giove), così si diffuse l’uso plebeo della coemptio anche tra gli aristocratici.
"Passato prossimo" di Eva Cantarella
Questo negozio (cum + emptio = con / mediante l’acquisto) prevedeva il passaggio dei poteri dal padre della nubenda al marito, attraverso una vendita fittizia che sanciva la mancipatio, analogamente a come si faceva per animali, schiavi o particolari proprietà. È chiara l’idea che una moglie era un affare patrimoniale, che riguardava un’intera famiglia. Era altresì, e con maggiore e immediata evidenza, un fatto patrimoniale il matrimonio per usus, che analogamente alla nostra usucapione, determina la proprietà di una cosa (i Romani distinguevano tra animata e inanimata) dopo un dato tempo di “uso” continuato, che nel caso degli esseri umani (ad esempio la donna/fidanzata) era di un anno. Trascorso tale tempo, il marito usucapiva la manus della moglie, e se era “alieni iuris”, per lui la usucapiva il pater familias. Il munus, come detto, comprendeva molti diritti fino alla vita e alla morte.
Questa la storia. Antica? Sulla carta sì, almeno in Occidente, dove le donne dopo secoli di battaglie, con determinazione hanno ottenuto la parità. Eppure è storia di oggi che, a parità di condizioni, abilità e professionalità, le donne guadagnano meno degli uomini e ricevono minori gratificazioni professionali. È stata necessaria una legge, molto recente (per esempio in Italia le “quote rosa”), per garantire alle donne un certo numero di seggi in Parlamento. E (ahimè!) è storia di tutti i giorni il perpetrarsi di abusi, violenze psicologiche e fisiche, fino agli omicidi che le donne subiscono da parte di uomini, per lo più dalle persone di cui si fidano: mariti, conviventi, amanti, padri, fratelli. A volte penso che la determinazione delle donne, la loro capacità di saper fronteggiare situazioni diverse contemporaneamente (famiglia, casa, lavoro) faccia talmente paura agli uomini che preferiscono restare ancorati ad arcaici e pretestuosi sentimenti di superiorità, per mantenere la dignità.
L. I.

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