domenica 27 marzo 2016

Buona Pasqua!


Auguri di una serena Pasqua a tutti gli alunni di #UnClassicoDiverso e alle loro famiglie!

Gv 20, 1-9

Giotto: Cappella degli Scrovegni a Padova - Google immagini
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

martedì 15 marzo 2016

Riflessioni sulla maternità surrogata

La settimana scorsa, durante le ore di religione, abbiamo visto dei filmati il cui tema riguardava la maternità surrogata, anche nota come “utero in affitto”. Non appena è finito uno dei filmati, tutti noi ci siamo trovati ad essere coinvolti in un’accesa discussione. A mio avviso, queste organizzazioni sono delle macchine economiche produttrici di bambini, con l’obiettivo di generare soltanto denaro. Non c’è sentimento in queste azioni, l’unico sentimento che si può individuare è l’egoismo, l’egoismo di due persone che strappano una creatura alla propria e unica madre con il solo scopo di placare il loro desiderio, un desiderio che soddisfa loro, e non la creatura.
foto © Google immagini
La madre firma un contratto, anche se a dirlo sembra difficilmente possibile, al fine di guadagnare materialmente denaro. Esistono talmente tanti umili lavori che possono essere praticati, ma certo, partorire un figlio e venderlo può sembrare meno faticoso. Partendo da questo concetto - tra l’altro molto discutibile - organizzazioni, madri e coppie omo o eterosessuali danno vita ad una situazione completamente errata dal punto di vista etico e morale.
F.V.
Ricorrere alla maternità surrogata e cedere l’utero in affitto sono secondo me delle pratiche sbagliate. Sottoporsi a mesi di sofferenza e a volte anche di gioie, portando in grembo un bambino, per poi abbandonare ciò che è stato tanto dentro di sé solo per soldi è moralmente sbagliato e privo di etica. Ancora più complessa è la discussione sull’opportunità di ricorrere alla maternità surrogata da parte di coppie omosessuali. A mio parere, i figli hanno bisogno di una famiglia composta da un padre e una madre.
L. I.

sabato 12 marzo 2016

La donna nella società germanica - commenti

La donna nella società germanica

Testi letti, tradotti e analizzati in classe:
http://www.unclassicodiverso.blogspot.it/2016/03/la-donna-nella-societa-germanica.html


I nostri commenti:

“E inoltre considerano fra le cose più turpi avere la conoscenza della donna prima dei vent’anni; e di questo non c’è alcun occultamento in quanto maschi e femmine si lavano insieme nei fiumi, indossano pelli o giubbe di pelliccia, lasciando nuda gran parte del corpo”. Cesare, attraverso questo brano, appartenente al VI libro del “De bello Gallico”, presenta lo stile di vita dei Germani e soprattutto, mediante gli atteggiamenti che le donne assumevano, descrive il comportamento degli uomini germanici come qualcosa di assolutamente puro e semplice. Infatti, al contrario di ciò che accadeva a Roma, le donne germaniche, quando si lavavano nel fiume, potevano persino spogliarsi alla presenza degli uomini, perché nessuno si sarebbe mai avvicinato… insomma godevano del pieno rispetto. Tacito invece approfondisce, analizza nei minimi particolari l’innocenza di queste donne. In effetti tende a condannare in maniera implicita la spudoratezza delle donne romane e di conseguenza, essendo disoneste, considera il popolo a cui appartengono inferiore. Inoltre Tacito descrive il ruolo che le donne svolgevano all’interno della società e lo fa con queste parole: “Gli uomini tardi conoscono l’amore e perciò più vigorosa si mantiene la loro virilità. Né le fanciulle si sposano prima dell’età conveniente: hanno la stessa robustezza dei giovani, simile statura; vanno a nozze quando i loro corpi sono ugualmente forti e sviluppati e i figli rinnovano la forza dei genitori”. Da questo passo si può dedurre che le donne erano poste sullo stesso piano degli uomini, erano entrambi forniti di uguali diritti. L’aspetto più notevole e soddisfacente che viene affrontato è il patrimonio, poiché non è costituito da beni materiali, bensì da un elemento familiari fondamentale, ovvero dai figli. Tacito continua ad elogiare queste fanciulle, dicendo: “Si tramanda di schiere ormai sul punto di ripiegare e di cedere, richiamati dalle costanti preghiere delle donne che esponevano il petto e che indicavano loro la vicina prigionia, la quale temono di gran lunga per le loro donne, a tal punto che si sentono più vincolate quelle popolazioni dalle quali si pretendono, come ostaggi anche nobili fanciulle”. Infatti le donne, oltre ad occuparsi dei propri figli, si rendevano utili anche in battaglia prestando aiuto ai mariti, riorganizzando gli eserciti. D’altronde l’autore non era l’unico ad approvarle, in effetti gli uomini temevano il rapimento, la morte, l’insofferenza più per le donne che per loro stessi, dato che erano considerati esseri provvidenziali, da non sottovalutare. L’ultimo tema affrontato da Tacito è la partecipazione delle donne alla vita pubblica. Tacito ce lo presenta con queste parole: “Perciò trascorrono la vita in sicura pudicizia, non corrotte da attrattive di spettacoli o banchetti. Uomini e donne ignorano allo stesso modo i segreti delle lettere”. Questo brano, a seconda del popolo da cui viene letto, può diffondere valori positivi ma allo stesso tempo negativi. Ad esempio, ai lettori dei Germani avrà trasmesso una reazione negativa, poiché viene confermata esplicitamente sia la loro arretratezza culturale sia la proibizione imposta alle donne. Al contrario, letto dai Romani, diventa una rappresentazione positiva; possono aver visto questo divieto come qualcosa da introdurre per fermare gli adulteri che ormai erano all’ordine del giorno. In realtà a Roma erano già stati effettuati dei provvedimenti, cioè le “leges Iuliae”. Queste leggi riconoscevano il tradimento come un crimine da scontare con l’esilio su un’isola e la confisca di metà del patrimonio, ma evidentemente non servirono a molto. In Germania, con una tanto grande moltitudine di donne e uomini, gli adulteri erano rarissimi, ma la pena da scontare è improponibile, inaccettabile per i nostri attuali criteri morali e giuridici: il marito, dopo aver strappato i capelli alla moglie e dopo averla denudata, alla presenza dei parenti, la cacciava di casa e poi la frustava per le vie dell’intero villaggio. Per la donna disonorata non vi era perdono: anche se bella, giovane o ricca, non troverà mai più qualcuno che la ami. Dunque in Germania il rispetto era il valore principale, ma una volta perso, non poteva essere recuperato in nessun modo.
D. B.
 
Assistiamo a due differenti presentazioni della donna germanica. Da un lato l’ammirazione sincera di un uomo romano, Cesare; dall’altro una ricca descrizione da parte di un uomo di origine germanica, Tacito. Cesare definisce la donna dei Germani pura, in grado di essere rispettata anche da nuda. Tacito la descrive in modo da sminuire quella romana. La presenta come una guerriera ideale, che partecipa alle azioni belliche, una donna forte. La donna germanica è la sintesi fra Lucrezia e le Sabine; ella è fedele al marito e cerca di condurlo sulla retta via, mostrandogli il seno, simbolo di vita, come fecero le Sabine. Le donne romane invece frequentano gli spettacoli pubblici, che si tengono in luoghi dove l’adulterio è frequente; alle germaniche l’accesso a questi luoghi non è permesso. In Germania, non a caso, “gli adulteri sono pochissimi, in un popolo così numeroso”; parole che hanno lo scopo di delineare l’alto tasso di tradimento che c’era nel popolo romano. Dai due autori si denotano in ogni caso la purezza della donna germanica e la maggiore libertà di quella romana. In chi avreste voluto rispecchiarvi? Io, sinceramente, in quella romana.
F. V.
 
Dal confronto tra alcuni brani del “De bello Gallico” di Cesare e della “Germania” di Tacito, si evince un quadro “diverso” dei costumi dei barbari, in particolare del ruolo della donna. Mentre Cesare si sofferma su alcune abitudini quotidiane, inerenti all’usanza di fare il bagno in modo promiscuo, invece ai Germani non era nemmeno permesso sposarle prima dei venti anni, perché una donna doveva raggiungere una certa età per essere presentata al futuro marito. Infatti, come poi spiega Tacito, le donne germaniche non avevano solo il compito di allevare i figli ma anche di consigliare i mariti e di aiutarli nei combattimenti. Diversamente da queste, le donne romane frequentavano i banchetti pubblici e i salotti letterari; il che, se da un lato era un aspetto positivo, dall’altro favoriva la corruzione, perché spingeva le donne all’adulterio. In Germania l’adulterio veniva punito non in modo conforme alle leggi, ma con pene corporali e psicologiche e soprattutto la pena veniva affidata al marito. Sicuramente Tacito, con questa opera, vuole dare un monito alle donne romane, affinché prendano esempio dalla pudicizia delle germaniche, visto che ai suoi tempi a Roma si stava diffondendo la corruzione morale.
EGJP
 
Questi passi tratti dalla “Germania” di Tacito e dal “De bello Gallico” di Cesare rendono bene l’idea della condizione femminile presso i Germani. Il primo brano è tratto dall’opera di Cesare e ci fa capire come fossero rispettate le donne. Infatti, nonostante si lavino nude e si vestano lasciando gran parte del corpo nuda, gli uomini non si permettono mai di toccarle, inoltre non possono avere rapporti con le donne che avevano meno di vent’anni. Nel secondo passo, Tacito analizza con maggiori dettagli il ruolo della donna germanica: egli infatti è germanico d’origine ed evidenzia la purezza d’animo e la moralità di questo popolo. In realtà si può pensare che le sue parole siano anche una condanna contro la corruzione delle donne romane, facendo capire che è quasi come se fossero i Germani superiori ai Romani. Tacito infatti dice che le donne non si sposano con fretta, anzi aspettano di avere stessa statura e robustezza degli uomini, in modo da generare figli altrettanto robusti. Inoltre le donne non hanno solo il compito di accudire i figli, bensì anche di aiutare in battaglia gli uomini, che tengono talmente alle loro donne, che pur di non farle cadere in schiavitù, riescono a dare sempre il meglio in battaglia. L’ultimo passo ci fa capire come l’adulterio sia raro e come le donne, per evitare tradimenti, siano sempre chiuse in casa;  un fatto che, seppure sembri essere molto negativo, rappresenta un lato positivo di quella società agli occhi dei Romani, dove l’adulterio, specialmente nei luoghi pubblici dove si tenevano spettacoli e banchetti, era all’ordine del giorno. Ovviamente però non è tutto “rose e fiori”, infatti lo stesso Tacito ci dice che gli uomini e le donne dei Germani erano analfabeti. Questi passi mi hanno fatto molto riflettere su come un popolo così arretrato culturalmente possa avere così tanti valori positivi, che nemmeno in un impero come quello romano ci sono.
S. F.

Il matrimonio per i Germani


Tacito, Germania, 19
 
Sic unum accipiunt maritum quo modo unum corpus unamque vitam, ne ulla cogitatio ultra, ne longior cupiditas, ne tamquam maritum, sed tamquam matrimonium ament.
 
Un solo marito ricevono così come hanno un solo corpo e una sola vita, perché il loro pensiero non vada oltre e non si prolunghi il desiderio e perché amino non tanto il marito, bensì il matrimonio.

 
 
Cesare e Tacito, rispettivamente nel “De bello Gallico” e nella “Germania”, ci illustrano le differenze esistenti tra le donne germaniche e quelle romane. Inizialmente, nell’immaginario collettivo, la figura dei barbari era considerata molto rozza, mentre quella dei Romani sicuramente era più raffinata. Dai testi che abbiamo letto si evince che in realtà le donne germaniche sono quelle più distinte e fedeli. Mi ha molto colpito il rispetto che gli uomini hanno nei confronti delle loro donne, presso i Germani. Ciò non esiste nella cultura romana.
foto © Wikipedia - Mappa dell'Impero romano, della Grande Germania e dei suoi popoli alla fine del I secolo d.C. sulla base della descrizione di Tacito.
Un altro motivo di riflessione è l’importanza del matrimonio per i barbari. Oggi il matrimonio viene sottovalutato, ci sono molti divorzi e il vero amore spesso viene coperto da un velo di interesse. Anni fa, anche se uno dei coniugi non era dei migliori, lo si “sopportava” per non infrangere la sacralità del matrimonio. Io credo che oggi la fedeltà sia un valore considerato in maniera errata. Infatti noto che le coppie che resistono a distanza di anni, sono minori rispetto a quelle che alle prime difficoltà abbandonano tutto. Il progresso è certamente da apprezzare, ma in alcuni casi, come per il matrimonio, sarebbe conveniente regredire all’antica concezione che si aveva di questo vincolo sacro, quella più giusta.
E.M.

giovedì 10 marzo 2016

L'odio di Catullo deriva dal suo grande amore

Catullo, carme 8

Miser Catulle, desinas ineptire,
et quod vides perisse perditum ducas.
fulsere quondam candidi tibi soles,
cum ventitabas quo puella ducebat
amata nobis quantum amabitur nulla.
ibi illa multa cum iocosa fiebant,
quae tu volebas nec puella nolebat,
fulsere vere candidi tibi soles.
nunc iam illa non vult: tu quoque impotens noli,
nec quae fugit sectare, nec miser vive,
sed obstinata mente perfer, obdura.
vale puella, iam Catullus obdurat,
nec te requiret nec rogabit invitam.
at tu dolebis, cum rogaberis nulla.
scelesta, vae te, quae tibi manet vita?
quis nunc te adibit? cui videberis bella?
quem nunc amabis? cuius esse diceris?
quem basiabis? cui labella mordebis?
at tu, Catulle, destinatus obdura.

 

Misero Catullo, smetti di impazzire,

e ciò che vedi morto, considera che è perduto.

Brillarono un tempo per te splendidi giorni,

quando andavi dove la fanciulla ti conduceva

amata da noi quanto non sarà amata nessuna.

Lì quando quei molti momenti giocosi accadevano,

che tu volevi, né lei non voleva,

brillarono veramente per te splendidi giorni.

Ora ormai quella non vuole: anche tu non volere, tu che non puoi,

non inseguire lei che fugge, non vivere infelice,

ma resisti con la tua mente ostinata, tieni duro.

Addio fanciulla, ormai Catullo resiste,

né richiederà né vorrà te che non vuoi.

Ma tu soffrirai, quando non sarai richiesta da nessuno.

Sventurata, guai a te, quale vita ti rimane?

Chi ora si avvicinerà a te? A chi sembrerai bella?

Chi amerai ora? Di chi si dice che tu sia?

Chi bacerai? A chi morderai le labbra?

Ma tu, Catullo, ostinato resisti.

 

Il carme numero 8, scritto da Catullo, è un monologo interiore che affligge l’autore. L’animo di Catullo tende a rassegnarsi, poiché si rende conto di non essere ricambiato. Allo stesso tempo egli cerca di illudersi che la sua amata in passato l’abbia amato, dimenticando che per lei la situazione sia sempre stata la stessa. Non sono mai esistiti “candidi soles” per Clodia, o perlomeno più candidi del solito. Nella prima fase dell’innamoramento, magari per Catullo le giornate dovevano essere più soleggiate di quelle in cui aveva compreso di essere uno dei tanti clienti di Clodia. Si nota la differenza del concetto d’amore tra i due: lui dice di aver voluto fortemente trascorrere la sua vita con lei, invece per esprimere la volontà dell’amata usa una litote “né lei non voleva”. Catullo prova a convincersi che resisterà, che non cadrà più nella trappola di Clodia.

Catullo - Google immagini

E nonostante si mostri arrabbiato nei suoi confronti, sorge il suo lato ancora innamorato, quando si rivolge alla ragazza con parole dolci, evidenti non soltanto nella traduzione, ma anche in latino: “bella” è espresso con l’aggettivo “bella” e non “pulchra”, anche per sottolineare che a parlare è un poeta molto giovane, che si serve di un linguaggio quotidiano. Dai versi notiamo che l’autore è in confusione, ma d’altronde dobbiamo giustificarlo: chi di noi non entra in confusione, quando è innamorato? In particolar modo in una situazione come questa. Anche l’odio che esterna nel carme è una forma d’amore. Più si ama una persona, più ci si rende conto che non la si può avere, più si odia il momento stesso, più si arriva ad odiare. È difficile pensare che si possa passare dall'amore all'odio verso una stessa persona, mentre in realtà è più semplice di quanto sembri; ami una persona per ciò che è da sola e per ciò che potrà essere insieme a te. Ecco perché cominci a odiare ciò che continua ad essere da sola senza di te. L’odio di Catullo deriva dal suo grande amore, non potrà mai superare quest’ultimo, andranno di pari passo; ma se smetti di amare una persona, smetterai di odiarla… se smetti di odiarla, la amerai ancora di più.  

F. V.

martedì 8 marzo 2016

La donna nella società germanica

Oggi abbiamo letto, tradotto e commentato dei passi tratti dal "De bello Gallico" di Cesare e dalla "Germania" di Tacito, sul ruolo della donna nella società germanica. Continuate a seguirci per leggere i commenti e le riflessioni dei nostri ragazzi sui brani:


Cesare nel VI libro del “De bello Gallico”, parlando delle abitudini dei Germani, ci dice che la loro purezza e semplicità si denota anche dal fatto che le donne, quando si lavano al fiume, siano ricoperte di poche pelli e lascino il corpo quasi totalmente nudo. 

21. Intra annum vero vicesimum feminae notitiam habuisse in turpissimis habent rebus; cuius rei nulla est occultatio, quod et promiscue in fluminibus perluuntur et pellibus aut parvis renonum tegimentis utuntur magna corporis parte nuda.
© Google immagini
 

Al contrario, considerano il frequentare una donna prima del ventesimo anno d’età tra le cose più vergognose; e di questo non c’è nessun occultamento, poiché sia si fanno il bagno promiscuamente nei fiumi, sia si servono di pelli o di corte pellicce, lasciando nuda gran parte del corpo.


Tacito invece analizza con maggiore dovizia di particolari il ruolo della donna nella società germanica: il quadro presentatoci dallo storico evidenzia, come aveva già accennato Cesare, la purezza d’animo e la grande moralità delle donne dei Germani.

Evidentemente Tacito vuole condannare, attraverso la descrizione delle donne germaniche, la corruzione morale di molte donne romane (nel caso di Cesare, Cleopatra, e nel caso di Tacito, Agrippina).
Si assiste così ad un capovolgimento dei ruoli: ora sono i Germani ad essere superiori ai Romani.
Basta analizzare il capitolo 20:

20. Nec virgines festinantur; eadem iuventa, similis proceritas: pares validaeque miscentur, ac robora parentum liberi referunt.  Heredes tamen successoresque sui cuique liberi, et nullum testamentum.

Non hanno fretta di far sposare le ragazze; esse hanno lo stesso vigore giovanile dei maschi, e simile la statura: prendono marito quando hanno la medesima prestanza del loro compagno, e i figli rinnovano la forza dei genitori. Tuttavia gli eredi dei beni e i successori sono i propri figli, e non hanno alcun testamento.

Le donne non hanno solo il compito di accudire i propri figli, si rivelano d’aiuto anche in battaglia, poiché corrono in aiuto dei mariti e rappresentano dunque la sintesi perfetta fra la Lucrezia di Tito Livio, fedele al marito fino alla fine, e le Sabine, che si lanciano tra le schiere mostrando il proprio petto, proprio come le donne Germaniche.

8. Memoriae proditur quasdam acies inclinatas iam et labantes a feminis restitutas constantia precum et obiectu pectorum et monstrata comminus captivitate, quam longe inpatientius feminarum suarum nomine timent. Inesse quin etiam sanctum aliquid et providum putant, nec aut consilia earum aspernantur aut responsa neglegunt.


Si sa di certi eserciti incerti e già sul punto di ripiegare riorganizzati dalle donne attraverso la costanza delle preghiere, opponendo il loro petto e il fantasma dell'imminente schiavitù, che temono con assai maggiore insofferenza più per le loro donne che per loro stessi. Ritengono anzi che nelle donne vi sia qualcosa di inviolabile e di provvidenziale, non osano sottovalutare i loro consigli o trascurare i loro responsi.

Nell’ultimo passo, Tacito riporta un dettaglio che a prima vista sembrerebbe confermare l’arretratezza culturale dei Germani, ma che, visto dai lettori romani, diventa un valore positivo.
Stiamo parlando dell’impossibilità per le donne Germaniche di recarsi agli spettacoli pubblici.


19. Ergo saepta pudicitia agunt, nullis spectaculorum inlecebris, nullis conviviorum inritationibus corruptae. Litterarum secreta viri pariter ac feminae ignorant.


Pertanto vivono in una riservata pudicizia, non corrotte né dalle lusinghe degli spettacoli né dalle provocazioni dei convivi. Le donne sono analfabete [ignorano i segreti delle lettere] proprio come gli uomini.

Ovidio, infatti, aveva detto che le donne romane erano solite frequentare spettacoli e banchetti e che proprio in queste circostanze, per i giovani romani, doveva essere molto semplice trovare l'amore.
19. Paucissima in tam numerosa gente adulteria, quorum poena praesens et maritis permissa: abscisis crinibus nudatam coram propinquis expellit domo maritus ac per omnem vicum verbere agit; publicatae enim pudicitiae nulla venia: non forma, non aetate, non opibus maritum invenerit. 

In  una popolazione tanto numerosa sono rarissimi gli adulteri, la cui punizione è immediata ed è affidata ai mariti: il marito, tagliati i capelli (della moglie) e denudatala, alla presenza dei parenti la viene cacciata di casa e poi frustata per ogni strada; non c'è infatti alcun perdono per chi ha perduto l'onore: non varrà né la bellezza, né l'età, né le ricchezze per trovare un marito.

Ora, Tacito si sofferma a riportare la situazione germanica circa il matrimonio e l’adulterio, che è in netto contrasto con quello che accade a Roma, infatti:

Sic unum accipiunt maritum quo modo unum corpus unamque vitam, ne ulla cogitatio ultra, ne longior cupiditas, ne tamquam maritum, sed tamquam matrimonium ament.

Un solo marito ricevono così come hanno un solo corpo e una sola vita, perché il loro pensiero non vada oltre e non si prolunghi il desiderio e perché amino non tanto il marito, bensì il matrimonio.

mercoledì 2 marzo 2016

Riflessioni sul carme 101 di Catullo


Catullo, carme 101
 
Multas per gentes et multa per aequora vectus
     advenio has miseras, frater, ad inferias,
ut te postremo donarem munere mortis
     et mutam nequiquam alloquerer cinerem.
quandoquidem fortuna mihi tete abstulit ipsum.
     heu miser indigne frater adempte mihi,
nunc tamen interea haec, prisco quae more parentum
     tradita sunt tristi munere ad inferias,
accipe fraterno multum manantia fletu,
     atque in perpetuum, frater, ave atque vale.
 
Dopo aver viaggiato per molte genti e per molti mari
sono qui, o fratello, per portarti queste misere offerte funebri,
per donarti l’ultimo dono della morte
e per parlare invano alla tua cenere muta,
dal momento che la sorte mi ha portato via da te, proprio te,
povero fratello indegnamente strappatomi.
Ora tuttavia, queste offerte, che secondo l’antica usanza degli avi
ti sono state portate come triste dono funebre,
accettale, grondanti di molto pianto fraterno,
e per sempre, fratello, ti saluto: addio!
 

Nonostante la realtà in cui vive Catullo sia quella di un amore non corrisposto, poiché è innamorato di una donna che non potrà mai ricambiare questo sentimento, l’unico carme veramente intriso di dolore che scrive è quello dedicato al fratello, ormai deceduto. Forse perché l’amore che si prova verso un membro della propria famiglia supererà sempre qualsiasi tipo di sentimento, sarà sempre più forte di ogni difficoltà, di ogni ostacolo che si presenta dinanzi a noi.
© Google immagini
 
Nel componimento vi è una contrapposizione, perché il poeta afferma di parlare invano alle ceneri del proprio caro, ma nonostante ciò percorre un lungo viaggio per raggiungere la tomba del fratello, per dedicargli un ultimo saluto. È come se Catullo non riuscisse a realizzare la perdita del fratello e cercasse a tutti i costi di creare un dialogo, un contatto con lui; oltre a soffrire per il decesso, soffre anche per il modo in cui è morto il fratello, ovvero lontano dalla patria, ed infatti utilizza l’avverbio “indegnamente”, indigne. Catullo termina il carme con le parole “ave atque vale”: “ave” è il saluto che i Romani si scambiavano quando si incontravano, “vale” quello con cui si lasciavano, momentaneamente o per sempre.
Oggi spesso risulta facile perdere il senso della famiglia, non metterla al primo posto, pensare di più agli amici e al divertimento. Il carme ha riportato in me l’importanza che si può attribuire solo ad un valore come quello familiare. Dunque ogni volta, prima di commettere errori nei confronti di una persona cara, invito me stessa e voi a riflettere sulle parole significative di Catullo.
 
D. B.

martedì 1 marzo 2016

Una tale offesa costringe ad amare di più, ma a voler bene di meno


Catullo, carme 72

Dicebas quondam solum te nosse Catullum,

Lesbia, nec prae me velle tenere Iovem.

dilexi tum te non tantum ut vulgus amicam,

sed pater ut gniatos diligit et generos.

nunc te cognovi: quare etsi impensius uror,

multo mi tamen vilior et levior.

qui potis est, inquis? quod amantem iniuria talis

cogit amore magis, sed bene velle minus.

 

Una volta dicevi che tu conoscevi solo Catullo,

o Lesbia, e che al posto mio non avresti voluto avere (neanche) Giove.

Allora ti amai non tanto come il volgo (ama) un’amica,

ma come un padre ama i figlio ed i generi.

Adesso ti ho conosciuta: perciò, anche se brucio intensamente,

tuttavia mi (sei) più vile e più leggera.

Com’è possibile, rispondi? Perché una tale offesa

costringe ad amare di più, ma a voler bene di meno.

 

Questo carme mi ha colpito molto, non tanto per la costruzione delle parole, quanto per il messaggio che il povero Catullo vuole lasciare a Clodia. Egli infatti dice espressamente di amarla, ma non è un amore normale, bensì è l’amore che solo un padre può provare per i figli e parenti, quell’amore vero, sincero. Ma la cosa più importante è che lui, nonostante tutte le offese, le promesse non mantenute, il trattamento ricevuto da comune "cliente", ami Clodia ancora più di prima.

Un altro aspetto che mi ha fortemente colpito, è che l’autore non si arrende mai, nonostante sappia benissimo che quello è un amore “impossibile”, continua ad amare Clodia e farà sempre di tutto pur di stare con lei.

Questa, a mio avviso, è la definizione più vera in assoluto della parola “amore”,  un "parolone" che al solo pensiero intimidisce tutti, me compreso, ma è un sentimento che ti porta a fare cose folli - vedi Catullo - che non ci si aspetterebbe mai.
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L’amore regala sensazioni che, se vissute, portano via su di un altro pianeta, un universo parallelo in cui c’è solo la persona che amiamo; ogni attimo insieme è d’oro e va sfruttato al meglio, niente e nessuno è più importante, perché lei colma ogni necessità. Questo è l’amore, ed io lo sto imparando in questo periodo della mia vita, leggendo questo folle d’amore, che scrive cose profonde, ed anche questa è la bellezza del Liceo Classico e di questi “frammenti di carta da quattro soldi”, così definiti erroneamente da molti, parole che ti permettono di capire il vero valore di questi sentimenti che a volte minimizziamo, per pigrizia o altre stupide motivazioni che caratterizzano il nostro secolo.

Concludo dicendo che oggi parliamo molto di globalizzazione, progresso, etc... quando poi non siamo ancora in grado di capire a fondo questi sentimenti, e l’unica soluzione è proprio leggere questi scritti di questi autori che, seppur banali all’apparenza, riescono a cogliere l’essenza dell’esistenza.
 
S. F.