In questo
brano, relativo al prestigio dei gladiatori, si evince chiaramente l’importanza
che essi avevano all’interno della società. Erano eroi ed esempi per il popolo
romano, sebbene disprezzabili per la loro provenienza e
per il loro ceto, poiché preservavano intatte le antiche virtù che gli antenati
avevano da sempre tramandato, ma che nell’ultimo periodo dell’impero si erano
perse, come: fortitudo, disciplina, constantia, patientia, contemptus mortis, amor
gloriae e cupido victoriae.
Molto interessante
è la testimonianza che Cicerone ci lascia sui gladiatori. Infatti, per quanto li
disprezzasse, li considerava superiori ai suoi avversari politici, poiché i
primi non vacillavano né si presentavano vili davanti alla morte o alla
sconfitta, al contrario dei secondi che erano da lui considerati i più grandi
esempi di viltà e vergogna.
All’epoca, infatti,
l’ammirazione per gli eroi nelle arene era affiancata al loro disprezzo e, come
ci riporta Tertulliano, autore cristiano che scrive durante gli ultimi secoli
dell’impero, crea grandissima incoerenza nel popolo. Citando le esatte parole
di Tertulliano in traduzione, il popolo “amava quelli che condannava e disprezzava gli stessi
che applaudiva”.
In questo
stato di incoerenza è particolarmente sorprendente come però alcuni autori e
gran parte della popolazione, non solo di ceto basso, appoggiassero i
gladiatori. Tra questi Seneca, che li dipinge quali uomini d’onore che secondo
il loro giuramento servono lealmente il loro padrone e riescono perfino a guadagnarsi fama
all’interno dell’arena con la loro forza, con il loro valore e con il loro
zelo, rendendoli addirittura esempi per gli uomini saggi. Imparando
dal nostro passato e dai nostri predecessori, forse anche noi potremmo aprire
gli occhi all’ammirazione perfino di coloro che spesso ricevono solamente amaro
disprezzo.
S. S.
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