Prima delle vacanze di Pasqua, il prof di latino e greco ha proposto ad ognuno di noi di leggere un capitolo del libro “Un giorno al Colosseo” di Fik
Meijer. Se devo essere sincero, all’inizio l’idea di parlare dei gladiatori non
mi ha coinvolto molto, tuttavia ho scelto due capitoli: “La provenienza dei
gladiatori” e “Costi e prezzi dei gladiatori”.
In realtà poi, leggendo pagina
dopo pagina, non riuscivo a staccare gli occhi dal testo, e la cosa più bella è
che ero talmente preso dalla lettura, che non mi interessava più di quello che
accadeva intorno a me; dovevo leggere quelle pagine fino all’ultima parola! Come
vi ho detto, il primo capitolo tratta la provenienza sociale dei gladiatori e
sinceramente mi ha molto colpito il fatto che, a volte, anche persone
importanti come senatori, cavalieri, ma anche gli stessi imperatori potevano
partecipare come gladiatori agli spettacoli! Ma andiamo con
ordine: la prima cosa che bisogna dire è che principalmente i condannati per
pene gravi (lesa maestà, omicidio, etc…) invece di ricevere la pena di morte,
venivano condannati ad essere gladiatori (ad
ludum gladiatorium), venendo addestrati da un lanista. Potevano diventare gladiatori anche dei volontari, che per
vari motivi si offrivano per mostrare il loro coraggio, per ricominciare, mettendosi
alle spalle un passato da dimenticare, ma anche - come nel caso di un certo Siside
- per racimolare soldi per liberare dalla schiavitù un suo caro amico. Inoltre
anche alcuni aristocratici potevano esibirsi senza seguire l’addestramento
previsto per i gladiatori. In più occasioni gli imperatori cercarono di impedire
agli aristocratici di dedicarsi a queste attività, ma con scarso successo. A
volte però succedeva il contrario, cioè che l’imperatore costringeva qualcuno a
combattere: ad esempio Caligola, visto che un uomo offese sua madre Agrippina,
lo spedì nell’arena, e nonostante fosse uscito vincitore dall’arena, lo fece
uccidere. Nerone addirittura fece combattere 300 senatori contro 400 cavalieri.
Caso ancora più particolare era quando proprio gli imperatori combattevano: un
esempio potrebbe essere quello di Commodo, il cosiddetto imperatore-gladiatore,
che si faceva chiamare “Ercole Cacciatore”. Ovviamente gli scontri che vedevano
coinvolto Commodo risultavano essere ridicoli, dal momento che nessun
gladiatore avrebbe mai potuto anche solo colpire l’imperatore. Egli combatteva
contro animali feroci, uccidendoli al primo colpo, perché di lui si poteva
discutere tutto, tranne la sua precisione. In alcuni episodi, pur di non
apparire al popolo inferiore ad un altro gladiatore, lo faceva uccidere.
Il secondo capitolo mi interessava fin dal primo momento e
posso confermare, soddisfatto, che ha rispettato le mie aspettative. Il tema è
quello del prezzo e dei costi di ogni gladiatore. In età imperiale, visto che
accorrevano in molti a guardare gli spettacoli, Marco Aurelio in periodi in cui
i soldi scarseggiavano, decise che una parte del ricavato dello spettacolo
spettasse allo Stato. Ma ben presto i senatori cancellarono questa decisione. In
“Un giorno al Colosseo” l’autore parla
di quattro categorie di gladiatori e quattro tipi di spettacoli, che andavano
da semplici eventi a veri e propri “show”. A Roma i maestri delle scuole gladiatore
di solito per gli spettacoli si rivolgevano ad un procurator munerum. La maggior parte di questi sono anonimi, uno
dei pochi fu Prosene, la cui carriera è stata ricostruita grazie alle
iscrizioni presenti sulle tombe. Le cifre pagate dall’organizzatore di solito
andavano nelle tasche del lanista. Da
ciò si può dedurre che con il ricavato degli spettacoli, i gladiatori non
riuscivano a guadagnarsi da vivere, se non in casi eccezionali, come quello di
Spiculus, gladiatore al quale Nerone regalò un palazzo intero. Solitamente però
si trattava di eccezioni, ma in realtà di solito il lanista col gladiatore
stipulava un accordo sull’incasso da guadagnare (di solito al gladiatore
spettava il 15-20%). Quando poi i gladiatori si ritiravano, di solito o
lavoravano nella scuola gladiatoria come maestri o facevano qualche lavoro ad
esso connesso (addetto alle pulizie, guardiano). Rappresentavano eccezioni
coloro che riuscivano a vivere di rendita o che venivano ingaggiati come
guardie del corpo dei ricchi. In questo capitolo mi sono soffermato a lungo
sulle parole di Seneca, che considerava i gladiatori “buoi, che il lanista ha il compito di far ingrassare,
per poi macellarli”. C’è da dire che Seneca odiava questo tipo di “distrazioni”,
ma sono rimasto sorpreso quando ho letto che un filosofo così importante ha
usato tali termini per parlare dei gladiatori.
Concludo consigliandovi la lettura di questo libro e spero di
avervi trasmesso qualcosa di quello che è questo aspetto così affascinante
della vita romana.
S. F.
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